giovedì 29 dicembre 2011

In ricordo di Giorgio Bocca

In ricordo di Giorgio Bocca

Il bel paese dov'è difficile vivere

di Giorgio Bocca

I vescovi ci invitano ad avere speranza. Ma l'impressione generale è che sia troppo tardi per venir fuori dalla palude. Manca infatti una volontà diffusa di cambiare. E si confida troppo nello "stellone" per uscire dai guai (28 ottobre 2011)
 
Dicono che bisogna credere nel futuro, in un futuro diverso, migliore di questo presente, di questa marmellata di cose, oggetti, bisogni fra cui strisciamo. Non c'è neppure odio per le generazioni che ci hanno condotto in questa palude. Certo hanno mal governato il paese, lo hanno compromesso, hanno lasciato crescere la malavita, hanno dato ai cittadini un'unica morale, un'unica aspettativa: rubare allo Stato dove si può, finché si può.
Che altro vogliono dire i vescovi quando lamentano la mancanza di etica della nostra società, la mancanza di buone regole, di buoni comportamenti? L'impressione generale, scoraggiante, paralizzante è che sia troppo tardi per venirne fuori, le complicità sono troppe, le malversazioni di massa soffocanti, le occasioni di riscatto rare: non c'è un prevedibile 25 luglio per l'arresto del tiranno, non c'è un 8 settembre per l'inizio della guerra partigiana, non c'è un'occupazione straniera di cui liberarsi.

Sono le grandi dimensioni dei nostri attuali vizi, delle nostre pigrizie, delle nostre cattive abitudini a imprigionarci. Questa volta i "mille" del coraggio e dell'avventura sembrano scomparsi.
Ogni sera gli italiani che ancora desiderano vivere in una libera democrazia si chiedono quanto durerà questo decadimento, questa resa al peggio, e se questa rinascita è realmente possibile o un vano desiderio che si rinnova di generazione in generazione. Il capo della polizia borbonica non accoglieva a Napoli il liberatore Garibaldi per disarmarlo, non consegnava la guida dell'ordine pubblico ai capi della camorra? Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa non è l'eterna vittoria dei reazionari?

Nella mia vita ho visto cadere alcuni regimi autoritari, a cominciare da quello fascista, quasi sempre per autodistruzione. Le sedi dei partiti restavano aperte ma vuote, gli iscritti buttavano via le tessere e i distintivi, ritornavano i vecchi partiti guidati dai revenant, dai politici di ritorno.
Ci risiamo? Ogni sera agli italiani si chiedono quando avverrà, come andrà a finire. Che fare? Mandare in galera tutti i ladri? Si organizzerebbero subito come il partito più forte del paese e comunque le prigioni non basterebbero. Fare l'ennesima rivoluzione gattopardesca, cambiare tutto perché nulla cambi? L'ennesima rivoluzione per finta, con i furbi e i ladri lesti a tornare al potere? Sono i grandi numeri, le grandi dimensioni di questa società a impedire che cambi veramente.

Nei primi anni della repubblica un giornalista napoletano di nome Guglielmo Giannini inventò "l'uomo qualunque" un movimento insensato, nemico della politica ma con la pretesa di fare la migliore delle politiche. Arrivò a vendere 700 mila copie e fu ucciso dal suo successo senza sbocco: non aveva un progetto fattibile, scomparve senza lasciare traccia se non nella sua inconsistenza, nella sua volgare utopia.
Il difetto vero degli italiani lo aveva colto Leopardi quando denunciava la mancanza di un'opinione pubblica capace di una scelta etica. L'ultima illusione è stata quella della guerra partigiana: guerra di popolo per la libertà e la giustizia che diede al paese un forte impulso riformatore, durato mezzo secolo, una volontà di diventare finalmente un paese democratico. Quest'ultima illusione sembra davvero consumata.

Il paese è bello, ricco di beni naturali, ma è molto difficile viverci per l'anarchia di chi ci abita. Per l'illusione costante di poter migliorare la società senza disciplina e senza sacrifici, per l'idea assurda che esista uno "stellone", una garanzia di fortuna che spontaneamente risolve i problemi del paese.

domenica 23 ottobre 2011

Ricordo di Antonio Cassese

E’ morto questa notte a 74 anni, nella sua casa di Firenze, Antonio Cassese.
Insigne giurista, docente di diritto internazionale, più volte presidente di tribunali penali internazionali contro i crimini di guerra, era anche scrittore e docente di diritto internazionale.

Riporto di seguito il suo ultimo articolo, pubblicato su “Repubblica” il 2 ottobre u.s.

IL PADANO NON È UN POPOLO
Ha forse torto Giorgio Napolitano a dimenticare il «diritto universale dei popoli all’ autodeterminazione», come ha detto l’ onorevole Roberto Calderoli? No, è Calderoli che ha torto quando rivendica quel diritto per il così detto popolo padano. Né la Costituzione italiana, né il diritto internazionale conferiscono l’ autodeterminazione agli abitanti della Padania. La nostra Costituzione è chiarissima. L’ articolo 5 proclama che la Repubblica è una e indivisibile, anche se attenta alle esigenze dell’ autonomia e del decentramento. E infatti neanche l’ Alto Adige, una regione con una forte minoranza linguistica, e i cui leader politici avevano invocato per anni la secessione, l’ ha ottenuta, perché contraria alla nostra Carta costituzionale. Ma nemmeno il diritto internazionale, ancora impregnato delle idee lanciate nel 191415 dal presidente statunitense Wilson e da Lenin, riconosce alcun diritto al “popolo padano”. Attualmente il diritto internazionale accorda l’ autodeterminazione “esterna”, e cioè il diritto all’ indipendenza eventualmente raggiungibile attraverso la secessione, solo a tre categorie di “popoli”: (1) quelli coloniali; (2) quelli sottoposti a dominio straniero o ad occupazione militare (come il popolo palestinese o quello del Sahara ex spagnolo sottoposto all’ occupazione del Marocco); (3) ai gruppi “etnico-razziali-religiosi” discriminati così gravemente a livello politico e sociale dalle autorità centrali da non essere in alcun modo rappresentati nelle assise di governo (è quel che succedeva alla maggioranza di colore in Sudafrica all’ epoca dell’ apartheid). Ora, è chiaro che il “popolo padano” potrebbe tutt’ al più ricadere nella terza categoria. Ma così non è, per due ragioni. Ove anche quel “popolo” costituisse una minoranza etnico-razziale-religiosa, il che non è, è un fatto che non solo non è discriminato politicamente e socialmente ma che ha addirittura tre ministri al governo. Per una ragione simile qualche anno fa la Corte Suprema del Canada negò l’ autodeterminazione al Québec – che pure costituisce una minoranza linguistico-religiosa – appunto perché quella minoranza non era affatto discriminata a livello politico centrale. Ma la ragione determinante è che la Padania è solo un’ entità geografica, anche se ha le sue tradizioni e ha dato vita ad un partito politico. Quindi, parlare per essa di autodeterminazione e secessione è parlare a vanvera. Ovviamente Calderoli nemmeno potrebbe invocare il diritto all’ autodeterminazione “interna”, che è il diritto universale ad un sistema rappresentativo, pluripartitico e democratico: sistema questo che è già pienamente operante in Italia. Sarebbe opportuno che si smettesse di inquinare il discorso politico con fumose ed inconsistenti chimere, che creano aberranti aspirazioni, distraendo dai tanti gravi problemi che affliggono l’ Italia. E forse sarebbe utile che alcuni nostri politici si leggessero qualche manuale elementare di diritto costituzionale e internazionale.
ANTONIO CASSESE

mercoledì 5 ottobre 2011

Wikipedia si autosospende per protestare contro il ddl “antintercettazioni” e “ammazza-blog”













Pubblico il testo integrale del comunicato di Wikipedia, appena diramato, che in questo momento compare sulla home page dell’edizione italiana dell’enciclopedia on line; le 800mila voci di Wikipedia Italia sono al momento inaccessibili. Pieno sostegno e solidarietà a questa iniziativa di Wikipedia che si lega a quella di tanti blogger in questi giorni.

Cara lettrice, caro lettore,

in queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero.
Negli ultimi 10 anni, Wikipedia è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. Una nuova e immensa enciclopedia multilingue e gratuita.
Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto — neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti — rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni.
Tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine.
Purtroppo, la valutazione della “lesività” di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato.
Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiederne non solo la rimozione, ma anche la sostituzione con una sua “rettifica”, volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.
In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l’intera pagina è stata rimossa.
L’obbligo di pubblicare fra i nostri contenuti le smentite previste dal comma 29, senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica, costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell’Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l’abbiamo conosciuta fino a oggi.
Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell’onore e dell’immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall’articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione.
Con questo comunicato, vogliamo mettere in guardia i lettori dai rischi che discendono dal lasciare all’arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine e del proprio decoro invadendo la sfera di legittimi interessi altrui. In tali condizioni, gli utenti della Rete sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per “non avere problemi”.
Vogliamo poter continuare a mantenere un’enciclopedia libera e aperta a tutti. La nostra voce è anche la tua voce: Wikipedia è già neutrale, perché neutralizzarla?
Gli utenti di Wikipedia”

mercoledì 28 settembre 2011

Cassandri e la storia d'Italia pre-leghista: quando Mazzini fece il Po simbolo d'unità

In mostra il documento con cui si dichiarava "fiume nazionale" nel 1849, oltre un secolo prima della Padania

CASERTA - Quarant’anni di attività in ambito farmaceutico come amministratore delegato di un’azienda di Milano e quarant’anni come collezionista di carta: storico appassionato, la doppia vita di Rocco Cassandri inizia dal francobollo, poi passa al documento viaggiato, dalle cartoline alle lettere, per approdare al documento storico e iconografico. Con una chicca, il decreto con cui il triumvirato della Repubblica romana con Giuseppe Mazzini elesse il Po a fiume simbolo dell'unità nazionale, oltre un secolo prima delle cerimonie leghiste al Monviso. Una ricerca continua che non lascia certo spazio alla noia, ma diventa un’attività corroborante. Il filatelico di origine ciociara ma romano di adozione, analizza e studia costantemente materiale storico, in particolare la storia dello Stato Pontificio e della Repubblica romana, una delle pagine più belle e più importanti del risorgimento italiano. Ecco spiegato l’invito alla conferenza tenuta a Sessa Aurunca il 17 settembre in occasione dei festeggiamenti per l’Unità d’Italia e l’invito a tenere una mostra dei preziosissimi documenti in suo possesso. Solo pochi giorni a disposizione di un pubblico non solo locale, di questo patrimonio culturale, per poter toccare con mano la storia presso il castello ducale della città.

DOCUMENTI DI GARIBALDI, CAVOUR E MAZZINI - Quaranta i documenti esposti a Sessa Aurunca contro le decine di migliaia di pezzi che Rocco Cassandri ha raccolto, dal mercatino di Porta Portese o salvati dal macero o acquistati alle aste. Tre i percorsi previsti: lettere e documenti di personaggi politici come la lettera apostolica di Pio VI del 1820 contro la Carboneria, una lettera di Garibaldi da Caprera del 1868, una lettera di Mazzini, un Decreto di Cavour, una lettera di Nino Bixio; lettere di garibaldini impegnati a combattere sul nostro territorio che scrivono alla famiglia, come quella di Achille Geluardi uno dei Mille che usa carta intestata del precedente corpo dei Cacciatori delle Alpi; interessante la minuta di lettera del 1848 del sindaco di Bugnara che scrive all’intendente di Sulmona e descrive i rivoltosi locali con il tricolore che parlano degli avvenimenti al caffè, definendoli “loschi individui o i signori barbuti comunisti».

LA STORIA MISTIFICATA - Testimonianze che provano che la storia a volte viene mistificata; questi documenti rappresentano in modo esemplare tutti coloro che contribuirono con un coerente impegno, alla emancipazione sociale e civile del Risorgimento, alla realizzazione di un’Italia unita politicamente e salda nella costante ricerca di principi liberali. Un viaggio affascinante nella storia risorgimentale che culmina con l’esposizione di alcuni documenti che ruotano intorno alle vicende della Repubblica Romana del 1849, di questo particolare periodo storico postale, Cassandri dispone di una vasta raccolta di lettere e documenti, che spaziano dalle poste Repubblicane, sino a quelle degli eserciti chiamati a sopprimerla e a ripristinare il potere temporale dell’ultimo «Papa Re» Pio IX. Ad attirare la nostra attenzione è in particolare il manifesto firmato dal triumvirato della repubblica con il quale si dichiara il fiume Po, «fiume nazionale». Un eccezionale documento che proprio in questi giorni sembra rispondere a tono al rito dell’ampolla con le sacre acque del Po, che a Pian del Re nel Monviso, il Senatur ha celebrato insieme al figlio e alla Lega Nord.

IL PO E LA PREVEGGENZA DEI TRIUMVIRI - «Anche se il periodo di vigenza della neonata Repubblica è stato brevissimo, circa 5 mesi dal 9 febbraio al 4 luglio, tanti sono stati i cambiamenti messi in essere e che hanno modificato drasticamente la vita sociale nei territori delle 4 regioni pontificie (Lazio, Umbria, Marche e Romagna) che questa ha governato - ha spiegato l’esperto storico -. L’abolizione della pena di morte ed il suffragio universale, anche se esteso solo agli elettori maschi, sono alcuni degli esempi di quanta lungimiranza sussistesse nel governo della “cosa pubblica” da parte del triumvirato. In pochi mesi tutta l’amministrazione pubblica fu ristrutturata, si batté nuova moneta, si emisero obbligazioni ed addirittura ci si preoccupò di decretare che il fiume Po fosse dichiarato fiume nazionale. Probabilmente – conclude Cassandri - i triumviri hanno avuto un momento di preveggenza anche se mai avrebbero pensato che nel secolo successivo, qualcuno lo avrebbe scelto, in contrapposizione, come simbolo di secessione dell’Italia faticosamente unita».

Fernanda Esposito
Corriere del Mezzogiorno 19 settembre 2011

martedì 20 settembre 2011

XX settembre 1870

Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entravano a Roma, riuscendo ad aprirsi una breccia a Porta Pia, sconfiggendo le truppe papaline.
La presa di Porta Pia rappresentò non solo l’annessione di Roma al giovane Regno d’Italia di cui divenne capitale, ma anche la caduta del Potere temporale della Chiesa. Infatti, venne sancita la separazione fra potere statale e potere temporale, concedendo al Papa solamente il governo della Città del Vaticano. 
Il XX settembre divenne festa nazionale italiana, una giornata nazionale della laicità dello Stato. Con il fascismo si eliminò la festa e dalla sua caduta non fu mai più ripristinata.
Purtroppo, oggi, la separazione fra Chiesa e Stato sancita nel Risorgimento è pressoché inesistente dopo la stipula del Concordato fra Mussolini e la Santa Sede nel 1929, inserito anche nella Costituzione repubblicana (Art. 7) nel 1947, ed il successivo Concordato, con il governo Craxi, stipulato fra Italia e Vaticano.

mercoledì 14 settembre 2011

Camilleri: ''Garibaldi come Che Guevara ma non commise il suo errore''

Lo scrittore in un'intervista a cura di Roberto Riccardi contenuta nel libro 'Camicie rosse, storie nere': ''Garibaldi sceglie perfettamente il teatro in cui operare, la Sicilia. L'isola era stata un continuo terremoto, dal 1848 in poi''
La spedizione dei Mille, "composta da gente di ogni parte della Penisola e anche da stranieri, è il gesto di guerra che ha dato concretamente inizio all'unità d'Italia. E' un viaggio molto bello, a pensarci bene, perché si tratta di 1.080 persone che s'imbarcano a Quarto su due navi, più o meno avventurosamente si riforniscono di carburante e di quello che serve, eludono la sorveglianza dei militari e arrivano a Marsala. Nella durata di un viaggio, in cui si parla poco l'italiano e molto il dialetto, questa gente eterogenea e raccogliticcia, animata però di uno spirito comune, diventa un esercito". A raccontare l'impresa di Garibaldi è Andrea Camilleri, in un'intervista a cura di Roberto Riccardi contenuta nel libro 'Camicie rosse, storie nere', edito da Hobby Work.
Garibaldi? "Guardando alla mitologia odierna si potrebbe considerarlo una sorta di Che Guevara, che però non commette il suo errore, cioè andare dove non c'è un terreno fertile. Garibaldi sceglie perfettamente il teatro in cui operare, la Sicilia. L'isola - racconta - era stata un continuo terremoto, dal 1848 in poi. Anche perché il regno borbonico si era preoccupato di regnare, ma non di avere dei cittadini borbonici, di trovare un'unità al suo interno, per esempio tra napoletani e siciliani. In Sicilia, anche per questo motivo, le spinte separatiste rimasero vivissime. Vi attecchirono in parallelo le idee liberali, che erano molto combattute a Napoli, dove si avvertiva la diretta pressione dei Borbone, mentre a Palermo non era così. Il capoluogo isolano aveva avuto addirittura un suo Senato, una forma d'indipendenza con Ruggero Settimo, e quindi il terreno era ottimo per una rivolta".


'Camicie Rosse, Storie Nere' raccoglie gli interventi di tredici giallisti italiani che, tra fiction letteraria e verosimiglianza storica, ripercorrono le vicende dei garibaldini.

"La cosa più bella della Storia - fa notare Camilleri - è che in essa tutto è necessario. La necessità di un fatto, però, non la avverti sul momento. Te ne accorgi dopo che era tassativo che un certo episodio si verificasse. Ma sulla necessità storica dell'Unità d'Italia, assoluta, ineludibile, non ci piove. All'interno dei grandi movimenti storici del tempo, tutto ciò che è stato si rivela necessario, a posteriori. I latini dicevano: post hoc, propter hoc''. ''Ora però proporrei una spedizione a rovescio. Partire da Marsala e sbarcare nel Bergamasco o nel Bresciano, dove di garibaldini ce ne furono tanti. Così facciamo una volta per uno". Certo in Lombardia, fa notare Riccardi allo scrittore, il mare non arriva. "E sennò' - replica Camilleri - che impresa sarebbe?"

(FONTE: www.adnkrono.com)