lunedì 29 agosto 2011

Rudolf Jacobs, il tedesco che divenne partigiano

La mia piccola patria, dietro la Linea gotica sa scegliersi la parte”. Così cantava Giovanni Lindo Ferretti, nella canzone Linea Gotica , facendo riferimento al “comandante Diavolo”, il partigiano Germano Nicolini e al “monaco obbediente”, ovvero Giuseppe Dossetti. Figure note dell’antifascismo e della Resistenza. Molto più di Rudolf Jacobs. Un tedesco.

Conosciuto soprattutto nella città di Sarzana, provincia di La Spezia, dove morì e dove è sepolto. Alla sua memoria il regista Luigi Faccini ha dedicato prima un libro (L’uomo che nacque morendo, 2006) e ora un docu-film, che sarà proiettato come evento speciale della sezione “Controcampo Italiano” alla mostra del Cinema di Venezia, il 2 settembre. Rudolf Jacobs – L’uomo che nacque morendo, come si intitola il lavoro dell’instancabile documentarista, prodotto dall’altrettanto instancabile Marina Piperno (di recente insignita del Nastro d’Argento dalla carriera) vide la luce nel 1914, figlio di un importante architetto di Brema. Esperto lui stesso di costruzioni difensive, venne mandato dagli alti comandi nazisti in Italia, nel 1943, a Lerici, perché lì Rommel temeva uno sbarco alleato.

Ben presto però passò dalla parte dei partigiani. Pagando con la vita il suo gesto. Jacobs, che si unì al Cnl di Lerici iniziando a combattere i propri connazionali, venne ucciso il 3 novembre 1944 mentre era al comando di un’azione partigiana contro le brigate nere. Il regista – autore di decine di documentari, tra cui lavori sulle periferie ben prima che diventassero un “luogo comune” per cinema e documentari (Notte di stelle e Giamaica , girati nei primi anni Novanta a Tor Bella Monaca) – si è immedesimato totalmente nella figura di Jacobs. Le ragioni sono tante. E una è molto personale.

Da piccolo – racconta Faccini – nell’agosto del 1944 scampai alla strage di San Terenzo Monti, sulle Alpi Apuane. Morirono 159 persone. Non avevo neppure 5 anni e ne uscii vivo per caso, grazie a mio zio. Per anni sentire parlare tedesco mi faceva accapponare la pelle. Raccontare quest’uomo mi ha riconciliato anche con una parte della mia memoria”. Ovviamente però il desiderio di parlare di questa scelta, così sconcertante e coraggiosa, vuole parlare anche al presente del nostro Paese. “Chi agì secondo giustizia e libertà in un momento estremo come la guerra al nazi-fascismo, dovrebbe essere ricordato oggi in Italia. Qui abbiamo dimenticato totalmente la Costituzione. Mentre Jacobs, presentandosi alla formazione partigiana a cui si unì, disse: “Darei la mia vita pur di abbreviare di un solo minuto questa guerra insensata”. Una frase potentissima. Jacobs vuole compiere un’azione esemplare e vuole far sapere ai tedeschi che c’è uno di loro contro Hitler, contro l’occupazione.

Jacobs costruiva bunker e fortificazioni. Non era un combattente. “Ma a Lerici si distinse subito: aveva molto riguardo per i bambini italiani, cui dava da mangiare se non ne avevano. Ma distribuiva cibo anche alla gente comune. Il Cnl locale lo iniziò a sorvegliare e poi lo avvicinò. E lui aderì alla lotta antifascista. Come recita il titolo, quest’uomo nacque morendo. Ovvero con la sua morte affermò le proprie idee e l’auspicio di una nuova umanità”. Il film, infatti, si conclude con una dedica: All’Europa che verrà. “Che ancora non c’è – dice con rammarico Faccini – visto che esiste solo l’Europa dell’economia”.

Il film, inizialmente, era stato proposto alla Rai. “Ne parlammo all’allora consigliere d’amministrazione Rognoni. Sembrava che la storia potesse interessare il servizio pubblico. Ma poi calò il silenzio. Alla fine, dopo una lunga attesa, chiedemmo a un dirigente che si occupava di fiction e ci disse: “Un sequel della fiction su San Francesco fa più al caso nostro”. Così non se ne fece niente. E io e Marina lo abbiamo autoprodotto in totale autonomia”. La Piperno, che nasce giornalista e dagli anni Sessanta sostiene un cinema indipendente e corsaro, è anche la compagna di Faccini. Assieme hanno realizzato anche due film su don Andrea Gallo: Andrea, dicci chi sei e Fiore pungente. “Con Andrea siamo ormai amici – dice il regista – Infatti verrà a Venezia, il 2 settembre, per l’incontro con il pubblico. Ha deciso di sostenere personalmente questa storia”. La vicenda sconosciuta di un uomo che lasciò i propri privilegi per unirsi alla Resistenza. Uno che sapeva da che parte stare.

Elisa Battistini

domenica 28 agosto 2011

Grande successo per la campagna NO ALLA SOPPRESSIONE DELLE FESTE CIVILI: prosegue la raccolta di adesioni e la mobilitazione

L’appello lanciato una settimana fa da Roberto Balzani (Univ. di Bologna, Sindaco di Forlì), Thomas Casadei (Univ. di Modena e Reggio Emilia),  Sauro Mattarelli (Presidente Fondazione “Casa di  Oriani” di Ravenna), Maurizio Ridolfi (Preside della Facoltà di Scienze Politiche, Univ. della Tuscia, Viterbo) contro  l’abolizione de facto delle festività del 25 aprile, del Primo maggio e del 2 giugno sta raccogliendo un significativo numero di adesioni, ben superiore alle previsioni degli stessi promotori.  Lanciato dal territorio romagnolo ha raccolto consensi e sottoscrizioni dall’intero territorio nazionale ma anche di cittadini italiani residenti in vari paesi europei.
Finora si registrano oltre 9.000 adesioni. Si tratta di cittadini che intendono ribadire la loro ferma opposizione a un provvedimento che non apporta sostanziali benefici pratici sul piano economico e produce invece un autentico disastro sul piano della coesione sociale. Il disagio e la protesta di molti  riguarda soprattutto la scelta di negare:
- un momento celebrativo per i sentimenti di libertà e di indipendenza insiti nella data del 25 aprile;
- il valore fondante del lavoro, rievocato in tutto il mondo nella data del Primo Maggio e, peraltro, ribadito nell’articolo 1 della Costituzione;
- il senso che lega il percorso unitario Risorgimentale con la realizzazione della Repubblica evocato dalla data del 2 giugno.
L’appello non manca poi di sottolineare la sperequazione che si viene a creare tra feste religiose e feste civili, che verrebbero di fatto cancellate. Ma un vero moto di indignazione riguarda le modalità attuative contenute nella proposta di governo: le feste potrebbero infatti essere “spostate”, al venerdì, al lunedì o alla domenica a seconda delle esigenze: un provvedimento che odora di “concessione”, di “arbitrio” e che rimanda a metodi comunque arbitrari, oltre che a rendere addirittura incerti i prossimi calendari festivi italiani.

Tra le adesioni spiccano quelle di personalità come Ivano Marescotti ed Eraldo Baldini, studiosi del pensiero politico come Arturo Colombo (Univ. di Pavia) e Roberto Gatti (Univ. di Perugia), nonché di Alessandro Campi (intellettuale molto vicino a Gianfranco Fini), ma anche di Demetrio Neri (filosofo morale, componente del Comitato nazionale di Bioetica) e di numerosissimi storici (oltre un centinaio, molti aderenti alla Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, tra i quali Mario Isnenghi, Michele Sarfatti, Paolo Pezzino, Fulvio Cammarano, Regina Pozzi, Dora Marucco, Leonardo Rapone, Simone Neri Serneri, Marco Gervasoni). E poi ; nonché sociologi come il figlio di Norberto Bobbio, Luigi, e Massimo Rosati dell’Università “La Sapienza” di Roma, e filosofi del diritto come Luca Baccelli, Emilio Santoro, Pierluigi Chiassoni, Tommaso Greco o storici del pensiero giuridico come Elio Tavilla e studiosi dell’Europa e delle relazioni internazionali come Ariane Landuyt (Centro Studi Europeo, Siena) e Giuliana Laschi (Punto Europa Forlì).
Sul versante istituzionale e politico ci sono poi onorevoli come Ignazio Marino, Vincenzo Vita, Maino Marchi, Rita Ghedini, ex parlamentari come Valter Bielli, l’Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna Massimo Mezzetti, e ancora il Segretario del PD ER e consigliere regioale Stefano Bonaccini, i segretari del PD di Bologna Raffaele Donini e di Forlì Marco Di Maio, consiglieri regionali come Antonio Mumolo, Anna Pariani e Mario Mazzotti, numerosi assessori comunali e provinciali, tra i quali la bolognese Marilena Fabbri, ma anche molti esponenti del mondo laico tra i quali il direttore del “Pensiero Mazziniano” Pietro Caruso e Luigi Di Placido (segretario del PRI di Cesena). Folta la rappresentanza di esponenti della CGIL, dell’Anpi, dell’Arci e di altre associazioni culturali. Aderiscono anche giornalisti e commentatori come Massimiliano Panarari e Andrea Riscassi, nonché Gaetano Alessi di “Ad Est”, sodalizio di resistenza contro le mafie.
I cittadini possono continuare a far pervenire le loro sottoscrizioni andando al sito/blog http://soppressionefestecivili.blogspot.com/ (che, oltre a raccogliere adesioni, registra anche pareri, commenti e opinioni, nella tradizione della democrazia partecipata) o scrivendo a nosoppressionefestecivili@gmail.com

10 anni di Fuorionda a Zona Cesarini

10 anni di Fuorionda a Zona Cesarini...

giovedì 25 agosto 2011

Chi parla male, pensa male

Il linguaggio comune, è cosa nota, è uno dei più affidabili indizi del modo di sentire, e pensare di un popolo. Se applichiamo questo criterio al popolo italiano, dobbiamo concludere che negli ultimi quindici anni, anno più anno meno, deve essere accaduto qualcosa di veramente sconvolgente nel nostro costume. In alcuni casi si tratta dell’esacerbarsi di vizi antichi, come quello di non saper tenere una civile conversazione. Lo aveva già notato Leopardi, ma se ai suoi tempi la conversazione era in cattiva salute oggi pare proprio moribonda. Basta osservare un tavolo di commensali al ristorante. Se sono, poniamo, in otto, e sono maschi e femmine, dopo pochi minuti la conversazione si frammenta in due gruppi di quattro persone, spesso da una parte i maschi, dall’altra le femmine, e subito dopo in quattro gruppi di due persone. A tavola: il trionfo del cellulare. Passa qualche minuto e ognuno telefona con il cellulare o è chino su se stesso o se stessa a controllare messaggi o posta.

Se sono presenti bambini non c’è scampo: o sono al centro dell’attenzione come piccoli tiranni (che cresceranno!) oppure arrivano muniti di diabolici strumenti elettronici dai quali non staccano mai gli occhi e le dita se non per mangiare qualche patatina fritta con maionese e ketchup o una pizza stracolma dei più improbabili ingredienti e per bere coca-cola. Del resto sono gli unici gusti ai quali sono stati abituati. Diverso è ovviamente il caso in cui sia presente qualche signore o signora molto più importante degli altri perché allora eccoli tutti a pendere dalle sue labbra, protendersi e annuire.

A compensare il declino della civile conversazione, c’è però il trionfo dell’organo sessuale maschile nella sua accezione più volgare, e dei suoi annessi naturali. Non è necessario citare le infinite espressioni nelle quali compare l’icona della mascolinità (cretina). Molte sono in voga, per lo meno, da decenni. Il trionfo sta nel fatto che ora anche le donne usano abbondantemente il linguaggio del c…. Non c’è quasi più giovinetta o signora anche matura che non senta il dovere di fare sfoggio della sua padronanza del linguaggio in questione. Da questo punto di vista l’uguaglianza fra uomini e donne ha davvero realizzato nel nostroPaese passi da gigante.

Non meno palpabile è la nuova dignità assunta dagli aspetti più banali della vita quotidiana. Le persone intrattengono lunghissime conversazioni al cellulare per raccontare cos’hanno mangiato, com’è la temperatura, come sono vestite e per dare e chiedere notizie della medesima gravità su figli e congiunti. Come facevano, viene da chiedersi, a tenersi dentro, prima dell’avvento del telefono cellulare,tante fondamentali e urgenti domande e osservazioni sulla vita?

E va ancora bene se la conversazione consta di parole, per quanto di poco conto. Spesso la persona che ascolta risponde soltanto per mezzo di mugugni e suoni non meglio definibili. Il nuovo imperativo morale ed estetico pare essere diventato “bando alle astruserie del linguaggio: parliamo con semplicità”, come se la semplicità fosse data da un numero sempre più esiguo di vocaboli, dall’impoverimento della grammatica o, addirittura, dall’emissione   di suoni gutturali quasi animaleschi che sostituiscono le parole. Pasolini denunciò questa deriva già negli anni ‘70 ma, a paragone di quelli di oggi, gli italiani dei suoi tempi parlavano come Accademici della Crusca. Fra le vittime innocenti del nuovo corso c’è, è noto, il congiuntivo.    Non esiste più il “lei”. La dittatura del “tu”.

Oggi le splendide parole della canzone Bufalo Bill di Francesco De Gregori – “se avessi potuto scegliere fra la vita e la morte, fra la vita e la morte, avrei scelto l’America” – sarebbero probabilmente intese come un riferimento a Messi o a Messa (siamo pur sempre cattolici). Altra vittima della semplificazione è il graduale abbandono   del “lei”. Il fascismo aveva tentato di abolirlo, perché di origine spagnola e di sapore borghese, per sostituirlo con il “voi”. Non credo che abbia ottenuto grandi successi. Noi, senza bisogno di alcun decreto governativo, abbiamo ormai spodestato il lei e messo al suo posto un democratico ed egualitario “tu”. Nessuna distinzione di età o di status o cultura o altezza morale conta più. Tutti meritevoli del “tu”, anche il presidente del Consiglio. Tutta la nostra solidarietà a Sandro Bondi che ha giustamente espresso il suo disagio nel vedere persone che lo conoscono appena rivolgersi a Silvio con il “tu” mentre lui usa rigorosamente il “lei”.

Scrivevano i filosofi della politica che caratteristica propria dell’essere umano, e segnatamente del cittadino, è la capacità di esprimere attraverso il linguaggio non soltanto le sensazioni di dolore o di piacere, ma anche ragionamenti morali, politici, estetici, filosofici. Un popolo rozzo può essere dominato. Partecipare alle deliberazioni pubbliche è un’attività che esige la capacità di intendere il significato di concetti complessi e di cogliere bene le distinzioni, per esempio fra libertà e servitù, fra democrazia e populismo, fra governo della legge e dominio degli uomini, e così via. Ma guai a chiedersi come possano assolvere i loro doveri di cittadini degli individui che hanno impoverito il proprio linguaggio, perso la capacità e il gusto di indicare cose diverse con nomi diversi, e non sanno riconoscere e rispettare   le diseguaglianze che meritano di essere riconosciute e rispettate.

Parla bene chi pensa bene, e pensa bene chi sente bene, vale a dire ha retti sentimenti. Ma è vero anche che parla male chi pensa male, o non pensa affatto, e sente peggio. Guai però a sollevare il problema di educare le persone a sentire, pensare, e parlare bene. Scatta subito l’accusa infamante: “moralisti, elitisti!”. Tanta premura a proteggere il popolo dalla fatica di capire e parlare è davvero commovente. Peccato che nasca dalla consapevolezza che un popolo con un linguaggio povero, rozzo e volgare può essere facilmente ingannato e dominato da qualsiasi demagogo, anche uno di mezza tacca e con i tacchi.

Maurizio Viroli

mercoledì 24 agosto 2011

Il canto degli italiani, Roberto Benigni

Scritto da Goffredo Mameli nel 1847, il Canto degli italiani, nostro inno nazionale è stato musicato da Michele Novaro, anch'egli, come Mameli, patriota animato da ideali mazziniani. Come tanta parte di ciò che è scaturito dal Risorgimento, per buona parte degli italiani le parole dell'inno sono mano a mano state dimenticate. Ne era rappresentanza emblematica il silenzio degli atleti italiani al termine o al principio delle gare.
Recentemente, grazie soprattutto all'opera degli ultimi due presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, e alla loro opera di recupero della memoria risorgimentale anche l'inno di Mameli è ritornato in auge. Ne è stata una prova l'eccezionale performance di Roberto Benigni su uno dei palchi più popolari d'Italia, quello del Teatro Ariston di Sanremo in occasione del 61° Festival della canzone italiana. Il comico e premio Oscar toscano si è cimentato con l'analisi del testo dell'inno, riuscendo a incollare agli schermi diversi milioni di italiani.

Per poter rivedere l'interpretazione di Benigni a Sanremo:

martedì 23 agosto 2011

LETTERA APERTA AL MINISTRO TREMONTI

 Ecco la lettera dei mazziniani italiani al ministro Tremonti

Signor Ministro,

i mazziniani italiani sono pienamente solidali con il tentativo in corso di risanare i conti pubblici; auspicano anzi interventi più decisi sia nel campo della riduzione dei costi degli apparati istituzionali (leggasi abolizione di tutte le province, come sarebbe stato necessario fare sin dall’istituzione delle regioni a statuto ordinario) sia in quello delle liberalizzazioni (invero ancora timide se si pensa agli intrecci corporativi del sistema Italia). Siamo poi non da ora impegnati per lo sviluppo dell’integrazione europea sul piano politico ed economico; condividiamo l’insoddisfazione per la miopia franco-tedesca ed appoggiamo incondizionatamente la proposta degli  eurobond.
    Per queste ragioni, a fronte della complessa manovra ferragostana, ci sentiamo in dovere di formularLe una preoccupazione, una domanda ed una protesta.
    La preoccupazione riguarda il rischio che anche gli ultimi provvedimenti non siano in grado di invertire la tendenza della crisi italiana, che è al tempo stesso congiunturale e strutturale. Ci resta il dubbio che questa avrebbe potuto essere l’occasione per fare affidamento sul senso di responsabilità degli italiani e colpire una volta per tutte anche le rendite parassitarie del pubblico come del privato.
    La domanda si rivolge invece all’insistenza con cui Lei continua a chiedere la riforma anche dell’articolo 41, oltre che dell’articolo 81, della Costituzione. Ci chiediamo se Lei abbia letto adeguatamente i lavori preparatori di quell’articolo presso l’Assemblea Costituente: è il frutto di una riflessione congiunta e non di parte che non a caso ha fissato in termini mazziniani la funzione sociale dell’economia garantendo la libertà individuale e collettiva. Ben altri sono i lacci e i laccioli che in Italia frenano le liberalizzazioni economiche. Francamente, sembra che Lei mobiliti un carro armato per colpire una mosca!
    Infine, protestiamo per il modo ed il merito per quanto concerne il cosiddetto accorpamento delle festività civili alle domeniche. Non ci convince il preteso incremento della produttività rispetto alla media europea, che già contestammo quando all’inizio dell’anno la Confindustria chiese la cancellazione della festa per il 150° anniversario dell’Unità. Basta consultare le prime pagine di qualsiasi azienda per verificare quante festività civili sono diffuse nel resto d’Europa, senza contare le bank holidays. Ci ha però francamente indignato il tono liquidatorio con cui è stato presentato il provvedimento, quando invece è purtroppo sempre più evidente che un Paese che non tiene alla sua memoria manca di coesione e di slancio. Come si può ignorare tutto questo? Non Le sembra di cadere nella trappola che già i Latini avevano individuato del “propter vitam servandam, vivendi perdere causam”? Non si rendono conto il Governo ed il Parlamento che una delle ragioni del declino economico italiano sta proprio nella sfiducia in se stessi e nel progetto comune dello Stato nazionale? Altrettanto inaccettabile è la subordinazione delle festività civili a quelle religiose in quello che è uno Stato laico: gli accordi con la Santa Sede possono infatti essere facilmente rinegoziati e non costituiscono un articolo di fede! Altro sarebbe stato e sarebbe prospettare una sospensione per un periodo di alcune feste nell’ottica di un globale ripensamento della materia in modo più equilibrato e rispettoso della nostra storia! Anche a questo proposito, ci auguriamo che il passaggio parlamentare migliori il testo di una manovra comunque indispensabile.

Genova,19.08.2011

Fonte: www.associazionemazziniana.it

venerdì 19 agosto 2011

Appello contro l'abolizione delle festività civili

Feste civili

La soppressione delle feste civili, contenuta nelle misure straordinarie di finanza pubblica del Governo di questo agosto, è un colpo molto duro inferto al già precario equilibrio simbolico su cu si regge l’identità della Repubblica.

Noi, benché convinti che atti di sobrietà e di austerità siano inevitabili, dati i tempi calamitosi in cui viviamo, riteniamo che l’abolizione delle festività del 25 aprile, del Primo maggio e del 2 giugno produca gravi conseguenze sia sul piano della coesione civile, sia sulla produttività della società italiana, a forte vocazione turistica e culturale.

Non si comprende, in particolare, perché la questione non abbia riguardato l’intero assetto dei giorni festivi del nostro paese, escludendo a priori quelli religiosi e quindi prevedendo, se del caso, una temporanea sospensione degli effetti del Concordato, da definire con la S. Sede. E’ infatti importante trattare gli spazi di festa collettiva non solo come occasioni di riposo o di svago, ma come espressione di una sensibilità comune verso temi, figure eventi della tradizione, laica o religiosa che sia. Di qui l’esigenza di un ragionamento intellettualmente onesto, che non sia solo l’esito involontario dello zelo di qualche anonimo tecnico economico ministeriale.

Non si può, del resto, non rilevare come – sul piano politico-istituzionale – lo spostare alla domenica successiva la celebrazione della sconfitta del fascismo, della nascita della Repubblica e di quel lavoro che la Costituzione pone a fondamento dell'Italia costituisca, di fatto, la negazione di quel patriottismo costituzionale e di quella idea di democrazia sociale su cui si è costruita e sviluppata la miglior storia della nostra Repubblica.

Per queste ragioni lanciamo un appello, aperto a tutte le cittadine e i cittadini italiani/e, affinché il governo receda dai suoi propositi.


Roberto Balzani (Univ. di Bologna, Sindaco di Forlì), Thomas Casadei (Univ. di Modena e Reggio Emilia), Maurizio Ridolfi (Univ. della Tuscia, Viterbo), Sauro Mattarelli (Pres. Fondazione A. Oriani, Ravenna)

Per aderire: http://www.petizioni24.com/feste_civili

sabato 13 agosto 2011

Perché abolire soltanto le feste laiche?

Ora per risparmiare e per riparare ai danni fatti, leggo che si pensa di abolire alcune feste e solo quelle laiche: capodanno, il 25 aprile, il primo maggio ed il 2 giugno. Ovviamente tutte feste inutili mentre quelle "religiose" e concordatarie del 6 gennaio, Pasquetta, 15 agosto, 8 dicembre e 26 dicembre sono insopprimibili. Con un tratto di penna cancellano le nostre radici, le nostre fondamenta, la nostra storia... Dicono che la fanno per il nostro "bene", per eliminare gli sprechi, per camncellare il debito... dicono...






Adesso abbiamo superato il limite. 

ARZAK RHAPSODY


Arzak Rhapsody è cartone sperimentale del francese Moebius (Jean Giraud) composto da quattordici cortometraggi intrisi di misticismo e fantasy post-moderno. Le storie narrate sono quelle di Arzak, un guerriero solitario e taciturno, che si sposta a cavallo di una creatura simile ad uno pterodattilo nel Deserto B, un mondo parallelo popolato di strane creature, situato alle frontiere del sogno e di una realtà posta al di là del reale.


Arzak Rhapsody è quindi un prodotto che merita la visione, almeno per potersi immergere in avventure surreali ambientate in un mondo popolato da bizzarri e coloratissimi personaggi.

primo episodio


Vai al canale per vedere anche gli altri episodi: CarTone74

venerdì 12 agosto 2011

Roberto SAVIANO e il Tricolore

"Chi pensa di spaccare il nostro destino distrugge un grande sogno: vedere da Friuli a Calabria in un`unica lingua la possibilità di disegnare un destino diverso. Il Paese ha voglia di fare, vuole smettere di pensare che i più bravi arrivano ultimi ma pensare che arriveranno primi. Di fronte al fango e alle baggianate dei siti, rispondere a tutto questo non ci importa. Andiamo avanti: costruire questa Italia significa essere eredi dell`Italia, ho sangue del sud e del nord, ho antenati repubblicani e mazziniani. Quei giovani credevano che l`unità per un paese libero. Mi piacerebbe recitare questo giuramento della Giovine Italia".
Roberto Saviano

martedì 9 agosto 2011

Maurizio Maggiani: "Risorgimento senza memoria"



"Mi son fatto una passione, di rendere giustizia andando in giro per l'Italia a raccontare le gesta e l'epopea di due generazioni di giovani uomini e donne che nel cuore del XIX secolo hanno consumato le loro vite a un'idea: la rivoluzione per la giustizia e la libertà dei popoli". 

Il video di "Risorgimento senza memoria"
un intervento di Maggiani alla Fiera del Libro di Torino 2010


venerdì 5 agosto 2011

"Noi credevamo"
Un film sul Risorgimento tradito e l’Italia incompiuta

“Noi credevamo” di Mario Martone è un eccellente film, con validi attori, una bella fotografia, dialoghi di spessore e una scenografia accurata e perfetta nella ricostruzione ambientale. Una colonna sonora raffinata nelle scelte dei brani d’opera del diciannovesimo secolo, la cui esecuzione, affidata all’Orchestra della Rai diretta da Roberto Abbado, riesce a fare emergere  il carattere squisitamente ottocentesco delle scene, dandone giustamente un tocco melodrammatico.
Le vicende raccontante nel film ruotano attorno a tre ragazzi del sud (Domenico, Angelo e Salvatore) i quali scelgono di reagire alla dura repressione borbonica dei moti del 1828, che ha coinvolto le loro famiglie, affiliandosi alla Giovane Italia e giurando fedeltà agli ideali repubblicani e democratici di Mazzini. Attraverso quattro episodi, che li vedono a vario titolo coinvolti, vengono ripercorse alcune vicende del processo che ha portato all'Unità d'Italia. Si parte dal circolo dell’affascinante Cristina di Belgioioso a Parigi e dal fallito tentativo di uccidere Carlo Alberto, fino  all'insuccesso dei moti savoiardi del 1834. Questi episodi porteranno i tre amici a prendere strade diverse e a creare tra loro una frattura insanabile. Angelo si voterà all’azione violenta ed esemplare, accuserà Salvatore di essere un traditore della causa e parteciperà, in seguito, al tentativo di Felice Orsini di assassinare Napoleone III. Sarà, invece, con lo sguardo onesto e puro di Domenico che noi spettatori avremo l’occasione di conoscere un vero mazziniano, intransigente e coerente, di osservare l’evoluzione e il tradimento della lotta repubblicana e gli esiti di quel processo storico che chiamiamo Risorgimento.
Ma il film è anche un’opera di narrazione storica, un’operazione culturale, che ci offre una interessante rilettura del Risorgimento cercando di mostrare oggi come la mancata riuscita del sogno democratico di una patria repubblicana, quella italiana, sia la causa dei mali che affliggono in buona sostanza il nostro presente. Martone è interessato a rendere cinematografiche le sue tesi sul Risorgimento: il sogno dell'Italia repubblicana, libera e democratica, propugnato da pochi, volenterosi e appassionati giovani si è infranto contro la realtà di una Italia “gretta, superba e assassina”, realizzata per forza di cose da una monarchia che ha semplicemente sostituito un dominio, quello borbonico, con un altro, quello sabaudo. Quindi uno scontro fra repubblicani e democratici, fra un’anima democratica e una autoritaria, una prima "frattura" fra quelle che hanno segnato, e segnano tutt'ora, la storia italiana (Nord contro Sud; Nobili contro il popolo; laici contro clericali, etc.). 
Il regista mostra, attraverso la figura di Domenico, come la vera azione mazziniana, abbia preparato il terreno meridionale e lo spirito delle popolazioni all'impresa dei Mille. Questa azione, portata avanti da dei veri apostoli del sacrificio, noncuranti delle privazioni e delle torture, ha prodotto la Nazione Armata, il popolo in armi che, quando non imbrigliato dalle macchinazioni monarchiche, ha saputo produrre gli esempi più alti del nostro Risorgimento. In effetti la critica del regista è rivolta essenzialmente agli intellettuali che non hanno saputo condurre il popolo, dal momento che non erano capaci di comprenderlo e nemmeno avevano la volontà di farne parte. Ragionare oggi del Risorgimento è un'occasione per interrogarci sull'Italia e il disincanto degli italiani e la cinematografia diventa uno strumento prezioso anche per lo studio del nostro passato. Certo il Mazzini interpretato da Servillo, un uomo misterioso, visto nella sua presunta umanità e con toni volutamente antiretorici, resta sullo sfondo molto defilato e distante, e la scelta del regista degli aneddoti da raccontare e delle incongruenze (un Mazzini che sembra già vecchio durante i moti del 1834 quando era appena venticinquenne) ne fanno forse uno dei tratti meno riusciti del film. 
Raccontare il Risorgimento, tuttavia, attraverso i mezzi proposti dal cinema e dalla arti visive in genere comporta una riflessione sul presente, sulla società odierna. In effetti, l’opera cinematografica è sempre figlia della società che lo ha prodotto e porta con sé tutto il carico dei suoi valori. L’opera cinematografica è nondimeno anche figlia dello sguardo del regista, poiché le immagini con cui gioca non sono mai neutrali, ma sono sempre una visione di parte, una realtà filtrata e manipolata in funzione del messaggio che vuole lanciare agli spettatori. 
Il richiamo allegorico all’Italia di oggi avviene, infatti, attraverso alcune immagini, apparentemente fuori tempo, come ad esempio l’inquadratura dei piloni di cemento armato di una casa iniziata e mai finita sulla costa del sud, che richiama un’altra casa ancora da completare, “quella italiana”, contemporanea, mai così necessaria come adesso. È proprio questo il motivo principale che rende questo film un documento storico assolutamente necessario oggi per la comprensione del nostro passato.

Alessio Sfienti
tratto da "Il Senso della Repubblica", Anno IV n. 12 dicembre 2010

giovedì 4 agosto 2011

Selah Sue

L'album d'esordio di Selah Sue (nome d'arte scelto da Sanne Putseys, cantautrice 22enne originaria di Leefdaal, nel Belgio fiammingo) è composto da dodici brani in bilico tra folk, rock, reggae e sonorità soul-funk.

La sua è una voce di classe che non può passare inosservata e che si adatta ad un sound che si estende senza confini su territori inesplorati.

Un bel album, originale che rende omaggio anche a grandi artisti come Bob Marley, Lauryn Hill e Erykah Badu. Da ascoltare. 

www.selahsue.com


Ragamuffin

mercoledì 3 agosto 2011

Game Of Thrones

Una delle serie tv più belle e appassionanti degli ultimi anni:



In attesa della seconda stagione. 
Assolutamente da vedere

martedì 2 agosto 2011

Bon Iver, Bon Iver (2011)

Un piccolo gioiello, sussurato, che tocca nel profondo, in modo inquieto e accattivante.
Un album che disegna immagini al crepuscolo, che richiama la calma della sera e la bellezza della notte.

Bon Iver, Bon Iver

Track list

1.     "Perth"           
2.     "Minnesota, WI"       
3.     "Holocene"          
4.     "Towers"          
5.     "Michicant"          
6.     "Hinnom, TX"           
7.     "Wash."         
8.     "Calgary"          
9.     "Lisbon, OH"          
10.     "Beth/Rest"